Riscaldarsi senza inquinare è la grande scommessa di questo secolo, anzi, del nuovo millennio.
Nel corso delle ultime settimane abbiamo analizzato al microscopio tantissimi tipi di pellet diversi, da quelli classici ottenuti dagli scarti del legno e della segatura a quelli di girasole, di sansa o di paglia.
Oggi ci concentreremo, invece, su un prodotto ricavato da un ingrediente che, di solito, siamo abituati a ritrovarci davanti nella cosmesi o nella farmacologia: il glicerolo.
Glicerolo: cos’è
Partiamo con la materia prima coinvolta: il glicerolo è il sottoprodotto che si ottiene dalla produzione di metilestere a partire da oli vegetali; in sostanza, attraverso una reazione chimica (transesterificazione), si perde circa il 10% della massa iniziale di olio, che si converte in glicerolo, ottenendo un biodiesel risultante biologico solo al 90% (non totalmente poiché la reazione richiede l’impiego di metanolo, che è un derivato del petrolio/carbone).
Nonostante i nomi tecnici piuttosto complicati, si tratta di un processo molto semplice e, quindi, diffusissimo nei comuni impianti di transesterificazione europei. Nel nostro Paese, però, le cose non sono altrettanto facili poiché la reperibilità del metanolo è piuttosto ardua e le spese relative, quindi, all’ottenimento di questo stesso tipo di prodotto non risultano così tanto convenienti.
In ogni caso, esistono due varianti del glicerolo:
- quella pura, che viene impiegata nell’industria alimentare;
- quella grezza, risultante dalla fabbricazione del biodiesel, che non ha bisogno di rispettare la purezza richiesta dall’industria alimentare e che va purificata prima di collocarsi sul mercato attraverso un processo che, però, risulta complesso, articolato e costoso.
D’altro canto, non c’è neanche questa grande domanda di glicerolo grezzo, poiché quello puro risulta, per tutti questi motivi, persino più economico: da qui è sorto il problema di collocare commercialmente questo milione di tonnellate di prodotto che si stima salti fuori annualmente da procedimenti collaterali.
Ed ecco paventarsi l’idea del pellet.
Una via che collega domanda e offerta
La pirolisi del glicerolo produce un gas di sintesi ricco di idrogeno: il progetto Brisk (Biofuels research infrastructure for sharing knowledge) ha lavorato ad alcune prove di pellettizzazione di biomassa mista proprio al glicerolo grezzo, cercando di arginare il problema della gestione dei residui carboniosi (che possono intasare gli ugelli). Con un composto fatto dal 10% di glicerolo e dal 90% di segatura di legno si è trovata la soluzione al problema, mantenendo anche stabile l’integrità dei pellet durante il convogliamento (con percentuali superiori al 15%, infatti, i cilindretti tendevano a disgregarsi).
Quello che è stato scoperto può avere grande rilevanza: la qualità del gas da pirolisi prodotto dai pellet con glicerolo è leggermente migliore di quella dei pellet classici, poiché si produce un gas con maggiore potere calorifico grazie alla proporzione di idrogeno e formaldeide.
Sebbene lo scopo dei ricercatori del progetto, inizialmente, fosse valutare la convenienza dell’uso del glicerolo grezzo nell’impianto di produzione del biodiesel (generando il calore necessario al processo di fabbricazione), si è capito che i pellet di biomassa arricchiti con glicerolo grezzo possono andare anche oltre l’industria dei biocombustibili, grazie alla maggiore densità energetica e al minore contenuto di ceneri che li rende adatti anche al riscaldamento domestico, offrendo un’opportunità di sbocco interessante a tutte le aziende agricole che hanno bisogno di ottimizzare la resa dei residui colturali.