Le foreste italiane avanzano, le politiche forestali meno

Quando parliamo di foreste, la nostra mente vola automaticamente a luoghi lontanissimi, incontaminati, ad ettari ed ettari di quel verde che costituisce il polmone naturale del nostro pianeta.

In verità, anche se se ne parla sempre troppo poco, anche il nostro Paese è ricco di questi luoghi, la famosa “macchia mediterranea” (e non solo) che ritroviamo in tantissime regioni, dalla Campania all’Abruzzo alla Toscana, passando per Umbria e Basilicata. Un patrimonio incredibile e assolutamente da preservare che, tra l’altro, si mostra in continuo avanzamento, purtroppo in assenza di politiche gestionali mirate ed efficaci.

Il “Primo rapporto nazionale sullo stato delle foreste e del settore forestale”

L’ambiguità di questo dato è emerso proprio quest’anno, quando è stato redatto il “Primo rapporto nazionale sullo stato delle foreste e del settore forestale” dal Ministero delle politiche agricole, grazie ad una lungimiranza della legislatura precedente che obbliga i governi a questo nuovo (e necessario) impegno annuale.

Le foreste nazionali ricoprono il 36,4% dell’intero territorio e comprendono quasi 11 milioni di ettari di terreni. Ma c’è di più.

Sembrano, infatti, crescere molto velocemente, ma in maniera completamente casuale, poco curata e senza una legislazione mirata che preveda delle azioni ben precise in merito: gli alberi e la vegetazione, in sostanza, nascono e proliferano nelle zone che trovano incolte lungo il loro percorso, lasciandosi amministrare – almeno fino ad ora – soltanto da politiche forestali a macchia di leopardo, senza la minima base di unicità e strategia nazionale.

Raoul Romano, ricercatore del Crea (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria), ente che ha contribuito alla realizzazione del rapporto sopracitato, assicura: “L’Italia ha una quantità di specie diverse pari a quella che si incontra dal Nord Africa al Circolo polare artico“.

Eppure, solo il 9% delle foreste è certificato e, nonostante i quasi 11 milioni di ettari di boschi, il settore della produzione del legno è in grande difficoltà, poiché da una cattiva amministrazione ne consegue, ovviamente, anche uno sfruttamento sostenibile ed economicamente fruttuoso piuttosto sottosviluppato: da noi, i prelievi di legno nelle foreste arrivano a percentuali tra il 18 e il 37%, mentre la media europea parla del 62-67%.

Un’evidenza che sembrerebbe in antitesi con il fatto che molte aziende del Belpaese dipendono ancora da boschi esteri, ma che si spiega proprio con il fatto che, altrove, sono semplicemente meglio organizzati. Al rovescio della medaglia, ovviamente, ci sono anche i luoghi dove, invece, imperano il disboscamento selvaggio e l’illegalità. Le nostre importazioni arrivano in maggioranza dall’Europa dell’Est ma anche dal Centro Africa: l’Italia, infatti, risulta terza a livello continentale per importazione del legno, ritrovandosi implicata anche in questioni di traffico ed acquisto d’armi proprio perché forzata ad entrare ed uscire da luoghi fortemente colpiti da carestie e guerre. Un circolo vizioso che andrebbe spezzato anche perché, assicura Romano: “Siamo uno dei Paesi con il minor tasso di utilizzo delle foreste, eppure si può aumentare il prelievo legnoso in modo sostenibile, in modo che le foreste continuino a rinnovarsi e a vivere, aiutando il settore ma anche alleggerendo l’utilizzo legnoso in altre parti del mondo“.

Le conseguenze

Tutto questo non può che portare prevedibili danni all’economia nazionale: le imprese della selvicoltura e gli occupati nel settore sono diminuiti, molte segherie per la trasformazione del prodotto grezzo sono scomparse. Senza contare che si contribuisce, più o meno direttamente, alla distruzione delle foreste di altri Paesi e al commercio illegale.

La cura delle foreste, tra l’altro, rientrerebbe anche in un piano di più larghe vedute riguardante i cambiamenti climatici e l’inquinamento della stessa aria che respiriamo: ci sarebbero alberi nuovi da piantare e carcasse da eliminare, boschi da popolare, sterpaglie da rimuovere… il che significherebbe anche procurarsi legno a chilometri zero da trasformare ed immettere sul mercato.

 

Da qualche tempo si parla, tra le altre cose, di nuovi incentivi fiscali per le imprese del settore, ma nulla ancora di ufficiale è stato sentenziato dalle bocche del governo attuale; i sindacati, intanto, chiedono di riaprire il turnover dei forestali .

La verità è che oggi solo 11 Regioni su 21 hanno l’obbligo di una formazione specifica per lavorare nei boschi. Troppo poco per pensare in grande ed in maniera globale, negli interessi dell’intero Paese.

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